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da LA STAMPA - tuttoLIBRI sabato 13 novembre 2010
MI CHIAMO BRAVO, MA LUI NON CE L'HO
Un uomo inutilmente fascinoso che alle sue belle può solo donare profitti
Sergio Pent
«Chiamatemi Ismaele»... «Io mi chiamo Bravo e non ho il cazzo». L'incipit fa il classico, in alcuni casi. Oppure aggancia il lettore e lo costringe a cercare una risposta fin da subito, per scoprire come e quando il determinato Bravo sia rimasto privo di un dettaglio non indifferente della sua anatomia maschile. Con una buona dose di pazienza, il mistero verrà svelato -appena prima del the end esotico in cui Giorgio Faletti colloca - alquanto felicemente nonostante l'irritante menomazione - il suo protagonista.
Ma qualche logico sospetto malavitoso serpeggia nella mente di chi percorre il suo nuovo romanzo, drammone atipico, sbaffato di nostalgia. Appunti di un venditore di donne è il tentativo singolare - finora l'unico dell'autore - di raccontare una storia italiana, lontana dagli standard cosmopoliti che gli hanno garantito fama, vendite e consensi. Senza contorsionismi disumani o attraversamenti con il rosso, Faletti cerca un percorso quasi personale, in parte forse vissuto - almeno nell'atmosfera ancora sopportabile di una Milano pre-bevute fine Anni 70 - in parte ricostruito in un
tracciato narrativo schietto, veloce, privo di eccessi e sbavature.
Raccontare anche solo parte della vicenda metterebbe il lettore su una pista destinata a sminuire il piacere della scoperta. Dopo i logici «preliminari», infatti, il susseguirsi dei colpi di scena, dei cambi di prospettiva, degli enigmi irrisolti e delle maschere calate diventa inarrestabile, fino alla conclusione, in parte telefonata, soprattutto nell'epilogo chiarificatorio in cui ogni dettaglio torna - anche troppo - al suo posto.
Ma il resto è un malloppo di divertimento assicurato, in questa Milano datata aprile 1978 in cui l'Italia ha il fiato sospeso in attesa di sviluppi sul rapimento di Aldo Moro. Bravo è l'uomo senza cazzo, un trentacinquenne inutilmente fascinoso che alle donne può regalare solo un'alta percentuale di profitti derivati dagli incontri intimi che predispone per loro in ambienti altolocati, dalla borghesia alla politica. Bravo è l'osservatore attento che vive il
transito di un'epoca in una città predisposta a manovre sotterranee che già fanno subodorare il bunga bunga dietro l'angolo. Dalle bische clandestine agli affari con i boss della mala, il venditore di donne si ritrova al centro di un imprecisato complotto nel quale può perdere solo la vita - il resto è già stato asportato anni prima - ma da cui cerca di risalire con un'astuzia che lascia intuire accadimenti più che tenebrosi.
Carla, la bella donna delle pulizie che accetta al volo di diventare una nuova accompagnatrice - le escort non erano neanche ancora autoveicoli - della schiera di Bravo; Daytona, scommettitore forse non così candido come sembra; Giorgio, l'aspirante cabarettista; Lucio, il vicino di casa, musicista cieco con cui Bravo si diletta nella soluzione di rebus da Settimana enigmistica; Tano Casale, il boss al quale il protagonista promette qualcosa di
troppo, tipo una schedina del Totocalcio da mezzo miliardo di lire... Ognuno di questi personaggi
avrà un ruolo determinante nel gran casino che si crea in quella primavera milanese del '78, dove le macchine erano solo numeri - 500, 127, 128 - dove tirar tardi significava respirare la città deserta prima dell'alba, dove giovani comici sconosciuti tentavano la sorte in una specie di cantina dalla quale uscirono vestiti di successo non pochi personaggi del cinema e della tv.
La disinvoltura della narrazione si sposa con il tentativo di ricostruíre un'Italia - e una Milano - che non ci sono più. Una sorta di amarcord con morti ammazzati che lascia galleggiare la nostra memoria verso quell'epoca tuttavia più spensierata e sincera, in cui un giovane comico dagli occhi azzurri si preparava a piombare sui nostri teleschermi domenicali chiedendo con aria pazzerella e trasognata «è qui che c'è le donne nude?». |