|
da LA STAMPA martedì 15 novembre 2011
ELEMENTARE, SANDOKAN: QUESTO LIBRO E' DI SALGARI
Un detective letterario sulle tracce dello scrittore
riscopre un romanzo uscito nel 1900 sotto pseudonimo
Mario Baudino
Ci sono voluti anni, ma alla fine l’ultimo Salgari è stato ritrovato. Uscirà per l’editore Viglongo tra due settimane, ed è una travolgente avventura nell’isola di Giava, titolo La vendetta d’uno
schiavo. Non fa parte certo della sua produzione maggiore, anzi forse è scritto un po’ con la mano sinistra:
ma ha una storia editoriale affascinante, dove c’è di mezzo persino la mano di un misterioso detective letterario del primo Novecento. Un altro detective a noi contemporaneo, Felice Pozzo, che a Salgari ha dedicato gran parte dei suoi studi, ha completato l’opera, anche lui muovendosi con la massima cautela in
una giungla di articoli, scartafacci, mezze ammissioni.
Non che Salgari tenesse particolarmente a mantenere il segreto su
questo romanzo. Non ci pensava
proprio. Da direttore della «Biblioteca economica illustrata per la gioventù, diretta dal cav. Salgari», come recitava la testata dell’editore Donath di Genova, aveva scritto sotto pseudonimo una quantità di avventure; uscivano in contemporanea con quelle che invece firmava
col proprio nome, sempre per Donath, nella collana principale, dai Misteri della giungla nera alle
Tigri di Mompracem (solo nel
1907 sarebbe passato a Bemporad di Firenze). Da un lato, come spiega Felice Pozzo, non gli sembrava bello che un direttore scrivesse anche tutti i libri della sua collana, dall’altro le considerava cose di second’ordine, dei B-books, spesso plagiati almeno in parte,
per fare più in fretta. Da tempo gli studiosi gli hanno attribuito tutta questa produzione; restava fuori solo La vendetta
d’uno schiavo, uscito nel 1900 a firma E. Giordano, che non
sembrava proprio suo. Come
se qualcuno si fosse intrufolato nel laboratorio dello scrittore. Una presenza inquietante, un fantasma? Ebbene no.
Racconta Pozzo d’aver trovato anni fa un primo indizio cui nessuno aveva badato: un articolo apparso nel 1904 su un settimale torinese, il Giovedì, a
firma di un tal Francesco Margaritis, autore già da sedicenne di romanzi d’avventura, in cui elenca tutti gli pseudonimi di Salgari (senza
nominarlo: dice solo «uno scrittore nato a Verona»), ivi compreso E.
Giordano. Restava da vedere se fosse una fonte attendibile, perché anche Margaritis era uno pseudonimo. Di chi? La risposta non si è fatta
attendere: di un poeta milanese abbastanza famoso all’epoca, anche se
non si tratta (purtroppo) di Delio Tessa. È un minore, amico di Marino Moretti, di cui si fa menzione per esempio nel carteggio tra Moretti e Palazzeschi (a proposito della morte di sua
madre, che addolora moltissimo il poeta di Cesena, «per quanto - aggiunge
- non lo conosca di persona»).
Su Margaritis sapremo tutto dalla prefazione di Pozzo al romanzo salgariano. Resta il fatto che è una fonte attendibile, e che ciò ha permesso al nostro detective letterario di proseguire sulla sua posta. Scoprendo che la faccenda era molto più complicata. «Ho trovato - racconta - un elenco di trame, soggetti e titoli, steso dal figlio», che com’è noto dopo la morte del padre pubblicò una quantità di romanzi «postumi», con la dicitura «da una trama di Emilio Salgari a cura di
Omar Salgari». Tra questi c’è La montagna di fuoco, il cui intreccio è uguale alla Vendetta dello schiavo: è infatti la
storia di Hamat-Peng, schiavo malese, che per vendicarsi di un piantatore bianco gli rapisce il figlio; viene inseguito avventurosamente nel bel
mezzo di una rivolta effettivamente avvenuta negli anni Venti, e il suo tentativo è frustrato nella scena finale, quando il colono salva il figlio su un
vulcano in eruzione.
Hamat-Peng il malese, guarda caso, è proprio uno dei titoli che lo scrittore
aveva lasciato in questo brogliaccio, cui attingeva Omar. La conclusione, al
di là dell’imminente possibilità di godersi un Salgari d’annata, è non solo esemplare, ma molto salgariana: nella
sua frenetica attività, come avviene
per i grandi del feuilleton, il cantore della giungla nera era riuscito a creare, senza nemmeno farci caso, un labirinto di specchi, una giungla inestricabile di avventure. E nemmeno il figlio, quando mise mano all’archivio, riuscì a capire che la storia di Hamat-Peng
era già stata scritta e pubblicata. |