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"La
resistenza taciuta" fa parlare dodici partigiane piemontesi. Le loro
imprese coraggiose. La loro quotidianità. Ma, anche, l’ostracismo
e l’atavica diffidenza verso la generosità e l’intelligenza
femminile registrata dentro le loro formazioni.
(O. Del Buono e G. Boatti, «TTL – La Stampa, 27 settembre
2003)
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Che
donne fantastiche, queste antifasciste. Combattevano, portavano armi,
discutevano appassionatamente, facevano l’amore, sorridevano, s’arrampicavano
su montagne gelate, e viene da pensare che le vere femministe siano state
loro, altro che Mary Quant, minigonne, Madonna e Like a Virgin. Le hanno
chiamate donne della «Resistenza taciuta».
(Jacopo Jacoboni, «Specchio», 27 settembre 2003)
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Racconti
a viva voce di scelte di lotta che scelsero come valori di base ilsenso
di giustizia, il rifiuto del calcolo, il rispetto dei sentimenti. In prima
linea, rischiando la vita, senza però imbracciare le armi […]
queste donne partigiane presero parte a pieno titolo alla Resistenza civile
e si distinsero dagli uomini per i modi e la qualità della loro
partecipazione.
(«L’Unità», 4 ottobre 2003)
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Ciò
che nella Resistenza taciuta davvero sorprende a tanta distanza di anni
è la relativa omogeneità delle esperienze e la netta singolarità
di ogni voce; ovvero, in altri termini, la concretezzasempre corporea
del loro testimoniare.
(Massimo Raffaeli, «Alias», 29 novembre 2003)
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