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da
LA STAMPA
sabato 30 ottobre 2004
IL KILT DELLA MADRE COME UNA BANDIERA
«Fergus
Lamont» di Robert Jenkins: in un quartiere poverissimo e violento
di Glasgow la parabola di un escluso che diventerà un cinico snob
Masolino d'Amico
Il
protagonista di questo romanzo si mette un kilt di misura troppo grande
per lui quando è ancora bambino e poi non rinuncia più a
questo capo di abbigliamento per tutta la vita, arrivando come unico compromesso
a portarci sotto delle mutande - non si dovrebbe - solo quando monta a
cavallo, la prima esperienza in tale attività avendofli lasciato
un ricordo troppo doloroso per volerla rinnovare. Ovviamente stiamo parlando
di uno scozzese, ma il rapporto degli scozzesi col kilt non è così
limpido come si potrebbe pensare. All'epoca della storia, che comincia
una decina di anni prima della prima guerra mondiale e termina bruscamente
durante la seconda, col nostro eroe sulle soglie della terza età,
il kilt è indossato non senza una certa affettazione, e certo non
obbligatoriamente, dai ceti medio-alti.
Nel quartiere poverissimo e violento della periferia di Glasgow dove il
nostro Fergus Lamont viene su, di kilt non se ne vedono mai, e se vi capitano
sono sbeffeggiati dagli adulti, e presi a sassate dai monelli. A Fergus
peraltro il sottanino è imposto da un capriccio dalla sua bella
e giovane madre, fuggita di casa quando Fergus era piccolissimo e della
quale il bambino aveva imparato a farne a meno. Un giorno la madre ricompare
come una malinconica meteora; coccola il fanciullo, gli compera un po'
dissennatamente qual kilt poi svanisce così com'era venuta - e
viene ritrovata annegata in uno stagno.
Crescendo, Fergus dipanerà il suo segreto. Rimasta incinta di un
giovin signore da cui era stata a servizio, la donna aveva sposato un
onesto lavoratore disposto a accolarsi il nasciturno, ma poi lo aveva
piantato in asso lasciandogli il pargolo. Ricomparsa, era stata messa
al bando da tutta la comunità, intransigente fino alla crudeltà
soprattutto in tema di connubi tra cattolici e protestanti - donde la
disperazione e il suicidio. Anche prima di sapere tutto questo, Fergus
fa del kilt avuto dalla madre una specie di bandiera, esibendovisi fieramente
a scuola e sopportando gli sberleffi dei compagni e degli estranei. Da
emarginato quale finisce per essere, entra in contatto con altre mosche
bianche, e in particolare stringe grande amicizia con una bambinetta che
vive in un quartiere ancora più miserabile del suo, ma che primeggia
negli studi ed è quasi votata a una carriera di suffragetta. Sia
lei sia Fergus frequentano un insegnante progressista, una cui sorella
un po' svitata procura al regazzo i primi turbamenti sessuali.
Fergus, che tra l'altro compone audaci poesie iperrealistiche sulla vita
quotidiana nel ghetto, scandalizzando molti ma anche trovando qualche
ammiratore, sembra destinato a un futuro di impegno sociale e forse anche
politico. Diventa, invece, un cinico snob. Quando scopre che il suo padre
carnale, morto nel frattempo in Australia, apparteneva a una famiglia
aristocratica, decide che il suo ambiente è quello e si applica
con tutte le forze per arrivarvi. Cambia il suo cognome in Corse-Lamont;
lavora indefessamente sul suo accento volgare per imitare la cadenza disinvolta
che nella Gran Bretagna contraddistingue i membri dell'"upper class";
e trova la sua grande occasione con la guerra. Si arruola infatti in un
reggimento di Highlanders, dove riesce a spacciarsi per un nobile e si
distingue in imprese valorose fino alla disumanità. Pluridecorato,
e fisicamente prestante, è scelto per fare da scorta alle conferenze
pro-belliche di Betty Shields, giovane romanziera belloccia, adorata dalle
masse per la melassa che sparge nei suoi libri. La sposa e intraprende
la vita del mantenuto. Ma non trada a scoprire che la donna è ancora
più cinica e ipocrita di lui...
Ho riassunto solo una metà del libro, certamente inusuale anche
nella scelta di un protagonista-narratore che si autodenigra con voluttà.
La tardiva confessione di Fergus vecchio, sordino e miserabile, non fa
che rievocare sue azioni e intenzioni poco onorevoli. Lo sfondo di queste,
però, è spesso vivido e convincente, dagli slums della famelica
e feroce Glasgow del primo anteguerra, alla natura inospitale e tuttavia
affascinante delle Ebridi, dove il nostro eroe finisce e almeno parzialmente
si purifica.
In mezzo ci sono, forse un tantino meno convincenti, le trincee del conflitto
mondiale, e il lungo intermezzo rural-mondano in cui Fergus raggiunge
la meta a cui puntava e come spesso capita ne rimane deluso. Uscito in
origine nel 1979, il romanzo ha mantenuto una sua asprezza scontrosa,
piuttosto scozzese anche lei, che la traduzione di Marco Bosonetto rende
adeguatamente.
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