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da AVVENIRE venerdì 30 giugno 2006
BASTONI, DA MOSÈ A FRED ASTAIRE
Una rassegna su un oggetto che è simbolo di potere o di gloria e anche sostegno per la debolezza
Roberto Beretta
Il potere e la gloria; ma anche la debolezza. Lo scettro e la stampella. A seconda che sia usato come gamba supplementare oppure quale protesi della mano, c’è un oggetto che sa piegare da secoli la sua impettita rigidità a una simbolica dai significati addirittura opposti. È arma e sostegno, una difesa come pure una minaccia; l’appoggio indispensabile all’umile pellegrino e il gadget fastoso del comando per i re. Non è affatto un oggetto banale, il bastone, a dispetto del collezionismo piccolo-borghese che da qualche tempo ostenta nei salotti la sua impugnatura, preferibilmente d’avorio. E lo dimostra ora la sontuosa mostra allestita a Siena fino al 26 agosto: una rassegna che farà passare ai superficiali la voglia di credere che un bastone sia soltanto un pezzo di legno (classici l’ebano e la malacca, quest’ultima tanto più preziosa in quanto non solo doveva essere importata fin d’Indonesia, ma anche perché si tratta di un’essenza che – come il bambù – cresce a stadi
e dunque è difficile da trovare nella lunghezza giusta
per un'asta da passeggio). Tra i bastoni esposti a Siena, infatti, ce ne sono di vetro e di bakekite, di osso di balena e di gomma, in metallo (vedi i pastorali vescovili in argento) e persino – pubblicitari – in filo spinato ritorto; una verga è costituita da bossoli di cartucce in ottone incastrati l’uno nell’altro (probabilmente un souvenir per militari), una bacchetta americana è composta da leggerissimi tutoli (il «torsolo» della pannocchia) e un’altra di aculei d’istrice intrecciati, una stecca è rivestita in pelle di serpente e un’altra con l’epidermide di razza marina; per finire col bastoncello composto da vertebre di serpente cobra! E questo per tacer dei pomoli, dove ovviamente si sbizzarrisce – nei materiali, nelle forme e nei decori – la creatività di artigiani anche di gran nome (uno tra tutti: Fabergé). Ma la meraviglia non si placa delle preziosità formali, del resto attese in un oggetto che – da strumento d’appoggio e di lavoro - non tardò a tramutarsi in status symbol del ceto e del potere.
Se gli stocchi «animati» (ovvero con l’anima d’acciaio, dall’apparenza innocua ma snudabili al pari di spade) erano già noti da secoli, fu l’Ottocento a lanciare i bastoni cosiddetti «a sistema» o «accessoriati» : stravaganti borselli portatutto (ne sono stati catalogati per oltre 500 funzioni) di volta in volta capaci di celare al loro smilzo interno il necessaire per fumare la pipa o quello per andare a pesca, il portacipria o un ventaglio da signora, colori e tavolozza per un estemporaneo pittore en plein air o strumenti musicali a fiato –senza escludere i violini. Nella rassegna senese ci si può incuriosire davanti a temibili stiletti del Cinquecento e mazze spaccaossa ottocentesche e addirittura stecche con pomolo a forma di cannoncino (funzionante!), così come di fronte a più miti utensili double face per spillare il vino e saggiare i formaggi, per misurare la taglia
delle
scarpe o la lunghezza
delle pezze di stoffa o l’altezza dei cavalli al mercato,
per raccogliere frutta dagli
alberi e ammirare il panorama tramite cannocchiale
monocolo e magari giocare
a dama (scacchiera in seta
arrotolata) e infine farsi un
goccetto in compagnia–vedi canna con servizio completo da cognac –durante
una passeggiata, finendo
magari a riposare un poco
sugli estrosi alpenstock-sedia... Che paradiso peri collezionisti di bastoni (il cui
antenato pare fu il faraone
Tutankhamon: nella sua piramide furono trovati quantità di scettri e bordoni, anche perché gli Egizi conoscevano 8 tipi codificati di aste) fu davvero il XIXsecolo;
quando –scrive l’ antiquario
Michael German nella prefazione all’eccellente catalogo Priuli & Verlucca – «gli
uomini smisero di
portare la spada e
cominciarono a
portare il bastone»;
all'epoca(ma forse lo scenario risulta più anglosassone che latino) «nessuna
persona ,
correttamente vestita, né gentiluom1o né dama, usciva senza il bastone adeguato». Così, a fine Ottocento, Londra sfoggiava non meno di 60 negozi specializzati nella vendita di canne da passeggio, con un florido movimento di import-export che coinvolgeva tra l’altro l’Italia –specialmente per i manici in porcellana. Di lì a poco, però, gli anni Venti del Liberty avrebbero registrato la morte sociale di un utensile attestato almeno dal Quaternario, usato in forme diverse da Mosé e da Edipo, passato fra mano a san Giuseppe e a Little John, a Charlot e a Fred Astaire. Colpa – chissà – della borsa e dell’auto, il cui affermarsi rende scomodo qualsiasi impiccio e inutile ogni sostegno. |