Tra suspence
e ironia un'eccentrica storia gotica, ambientata nella Torino del primo
Novecento, dove il mondo liberty, evocato nei colori e nelle atmosfere,
nei mimetismi dello stile e nelle cadenze floreali del linguaggio, non
è soltanto uno scenario prezioso, ma è metafora della modernità,
con i suoi bisogni di apparenze e immagini invece che di cose, di abbagliamenti
e favolosi travestimenti, di simulacri e feticci. La giovane sensitiva
Erina, al termine di uno spettacolo di illusionismo, viene chiesta in
sposa dal cupo ed enigmatico dottor Barbi, anatomo-patologo e ipnotista,
che vuol condurre su di lei i suoi esperimenti di metapsichica. Nella
dimora di costui un castelletto neogotico-jugendstil dall'aria spiritata,
onirica e sinistra, la fragile e incerta ragazza trascorre le giornate
sola in compania di un ambiguo maggiordomo e dalla nana Iliade, che si
dicono depositari dei foschi segreti della casa, e, suggestionabile com'è,
si convince di rivivere la leggenda nera di Barbablu. Ma la verità
che le si svelerà alla fine sarà molto diversa, per quanto
non meno terribile.
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"Il
dottor Edmondo Barbi entrò nel salone moresco del Cascino di Cabourg
quando già l'orchestrina, nascosto dietro un folto di piante in
vaso, ritmava gli esotici suoni di un tango.
La sala era affollata e il dottore, prese posto su una seggolina dell'ultima
fila, cercò con moderato interesse di vedere quel che avveniva
oltre la selva di aigrettes, che impennacchiavano i turbanti delle signore.
Non era uno appassionato di spettacoli di danza, era venuto per il numero
successivo, quello dell'ipnotista. Le scienze mediche lo assorbivano e
avevano in lui un mai soddisfatto ricercatore di segreti; era attratto
dai misteri dell'inconscio, dagli ignoti poteri della mente, dagli effetti
delle suggestione e delle droghe; studiava patologie, aberrazioni e mostruosità,
perciò era anche un frequentatore di Gabinetti d'Attrazioni e Meraviglie.
In Normandia, dove trascorreva un breve periodo di villeggiatura, aveva
avuto il privilegio di esaminare, fotografare e misurare i due famosi
fratelli giganti delle Alpi, che pesavano ognuno duecento chilogrammi,
e i minuscoli tre Lillipuziani Bernesi, che ne pesavano soltanto sette.
Da qualche tempo praticava anche l'ipnosi. Dal suo collega, certo Aurelio
Lusignano, del quale le locandine vantavano il "fluido misterioso
e soprannaturale" e che faceva di quell'arte difficile e rara uno
spettacolo da baraccone, non si aspettava gran cosa, ma non rinunciava
a verificare i suoi cosidetti esperimenti. E poi non aveva quella sera
nulla di meglio da fare. I suoi occhi si rifiutavano di sostare ancora
sui minuti caratteri e sulle purtroppo confuse incisioni del Trattato
di teratologia del Sait-Hilaire alla smorta luce del'abat-jour che,
assai decorata di frange e perline come tutti gli arredi di Grand-Hotel,
era per ciò stesso impari alla bisogna.
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Elisabetta Chicco
LA QUARANTADUESIMA CARTA
editore ROBIN
edizione 2003
pagine 384
formato 11,5x19,5
copertina plastificata con alette
tempo medio evasione ordine ESAURITO
18.00 €
18.00 €
ISBN : 88-7371-012-3
EAN : 9788873710127
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