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Agostino Barolo
era nato ad Asti nel 1898.
Aveva partecipato alla I guerra mondiale quale ufficiale di fanteria e
fu insignito della Croce al merito di guerra.
Tornato dalla guerra frequentò l'Università di Torino laureandosi in lettere.
Iniziò l'attività di insegnante presso vari licei classici e scientifici
del Piemonte nel 1924 e negli anni immediatamente precedenti la seconda
guerra mondiale fu professore di italiano e latino al liceo Alfieri di
Asti.
Nel maggio del 1945, poichè aveva fatto parte del CLN della scuola nel
periodo clandestino, fu nominato dal CLN regionale preside reggente del
suo liceo. Ebbe al suo attivo svariate pubblicazioni in campo letterario
(un saggio critico su Jacopone da Todi e la traduzione dell'Africa del
Petrarca) e anche una certa attività poetica , ma le opere per cui è più
ricordato sono certamente quelle relative alle tradizioni astigiane e
ai suoi studi su Vittorio Alfieri. Numerosi furono anche i suoi articoli
e saggi di etnografia sulla prestigiosa rivista Lares, che si occupava
di tradizioni popolari ed era diretta da Paolo Toschi.
Scoprì infatti numerosi scritti inediti del celebre autore astigiano,
poesie, lettere e carte varie.
Nel 1939 pubblicò il saggio L'Alfieri e il Caluso nel giudizio
dei contemporanei
dopo aver rinvenuto, tra le carte dell'Archivio Storico del
Comune di Asti, una folta raccolta di lettere dirette all'Abate Tommaso
Valperga di Caluso da letterati e scienziati italiani e stranieri.
Questa raccolta di lettere lo portò ad una ulteriore, successiva pubblicazione:
Tommaso Valperga di Caluso e il Cardinale Stefano Borgia
(1942).
A lui era anche stato affidato l'incarico di curare l'edizione critica
della vita di Vittorio Alfieri da parte del Centro Nazionale di Studi
Alfieriani , ma questa pubblicazione non vide mai la luce in quanto, con
l'avvio della guerra il centro cessò la sua attività.
In quegli anni Barolo viveva a Firenze, ma vista la brutta piega che stava
prendendo la guerra e temendo che gli eventi bellici lo tenessero per
molto tempo fuori dal Piemonte dove viveva ancora suo padre, ormai anziano
e malato, nel '41 chiese nuovamente trasferimento a Torino e lo ottenne.
Tuttavia nel '43 I bombardamenti sul capoluogo piemontese danneggiarono
pesantemente la sua abitazione.
Per circa due anni visse come tanti altri da sfollato in campagna e, pur
tra molte difficoltà, continuò il suo ultimo studio sui documenti inediti
dell'archivio astigiano offrendo un ulteriore contributo alla storia della
cultura settecentesca.
Nel periodo del dopoguerra si candidò nella città di Torino come esponente
della Democrazia Cristiana. Anche questo aspetto va considerato, per fare
luce sulla personalità complessa di Barolo.
La sua vita si svolse con lunghi periodi lontano da Asti, tuttavia ne
fu profondo conoscitore, come dimostra il suo lavoro forse più celebre,
Folklore Monferrino
(1931). Il libro, nonostante gli svariati studi sociologici ed antropologici,
oltre che di cultura locale, pubblicati in anni più recenti , si legge
con curiosità ed interesse, perchè testimonia tradizioni ed usi che di
lì a poco sarebbero definitivamente scomparsi. Barolo ci offre annotazioni
molto interessanti, relative a tradizioni astigiane e monferrine, in una
paziente e scrupolosa rassegna che comprende anche testi di poesie popolari
e canti della tradizione della terra astigiana, di proverbi e notizie
sulle manifestazioni cittadine quali il Palio.
L'Autore registra una gradevolissima spigolatura di informazioni, di annotazioni
argute, proponendoci il patrimonio culturale antico e ricchissimo della
nostra terra.
La moderna antropologia culturale non gli riconoscerebbe forse l'appellativo
di vero ricercatore, tuttavia con il suo gusto per il dialetto e per la
tradizione regionale trova comunque la sua collocazione nel panorama culturale
astigiano.
Chi ricordava ancora Agostino Barolo per averlo conosciuto, ne descriveva
la figura alta, magra, quasi aristocratica che si incontrava spesso in
Corso Alfieri, sempre con la sigaretta al centro della bocca, mentre camminava
solo, quasi con un certo distacco dall'ambiente che lo circondava.
Il suo discorso un po' tradizionale ed aulico, era tuttavia interrotto
di tanto in tanto da un'ironica battuta in dialetto o da una notazione
arguta.
Agostino Barolo muore a Torino nel 1965, portandosi dietro probabilmente
qualche amarezza verso una terra che non gli ha mai riconosciuto lo sforzo
da lui compiuto per cantarla e farla amare.
Vale certamente la pena continuare a ricordare quest'uomo e la sua opera,
che recupera frammenti della vita contadina che sarebbero andati irrimediabilmente
perduti e avrebbero lasciato gli studiosi di oggi privi di un' importante
testimonianza.
a cura di Maria Grazia Cavallino
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