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IL CORRIERE DELLA SERA
online 4 novembre 2004
TRA STREGHE E APPARIZIONI NELLA VAL VIGEZZO
Luca Orsenigo
L'attacco:
«Sono nato nel 1938 fra le montagne della valle Vigezzo, ultimo
lembo piemontese ai confini con la Svizzera Italiana. Da bocia maledivo
il destino d'essere nato lì, tra capre e bulacche, lontano dalle
comodità, dai divertimenti, dalle luci della città, dalla
gente, dal mondo. Oggi ringrazio Dio a mia madre di non avermi mai staccato
da quelle radici e dai valori di quei paesi, poveri mastraripanti di umori,
di tradizioni, di storia, di umanità. A mio padre sono grato per
altre cose; quanto alla valle Vigezzo, bèh, lui, romagnolo di Predappio,
da dove peraltro se n'era andato da giovanissimo, alla prima occasione,
per non farvi più ritorno salvo che per sfuggevoli ispezioni ai
turtlèn della sorella Santina e ai nipoti, ci stava stretto, senza
entusiasmo, amante com'era (così diceva) della città, della
metropoli, delle grandi dimensioni».
Se citiamo la premessa al libro come attacco è perché essa
come attacco è perché essa fa parte integrante dell'opera
ed è anzi messa lì a mo' di proemio con la sua bella invocazione
(alla valle Vigezzo e al tempo perduto) e la presentazione della materia
trattata («le streghe, la fisica, il diavolo e le apparizioni, i
ritorni dall'aldilà, i segnali e i presentimenti di morte»).
Infine è la stessa premessa che dà la stura ai racconti
che seguono, trattati dalla medesima vita dell'autore o da vive testimonianze,
che lungi dall'essere solo biografia o letteratura di piccola patria,
appartengono al contrario all'esperienza dell'umanità tutta: l'esperienza
del sacro.
Il tema: Non c'è racconto che si somigli, non
c'è testimonianza raccolta da Mazzi che ricalchi per tono o andamento
il brano che precede, eppure tutte le narrazioni sanno di conosciuto,
di veritiero e sembrano appartenerci, si conosca o meno la valle in questione,
si viva in pianura da sempre o a digiuno dal fantastico e dall'incredibile.
Il sacro è infatti quel fenomeno che si stacca dallo scorrere grigio
e ripetitivo del giornaliero, che per un attimo fa percepire l'esistenza
di qualcosa di totalmente altro dall'esperienza fenomenica, è l'essenziale
che è invisibile agli occhi, direbbe il Piccolo Principe, ed è
il fondo di ogni racconto di Mazzi che si snoda invariabilmente tra apparizioni
inattese, incubi e malefici, ma mai nel modo orrido e granguignolesco
al quale siamo abituati dai vari cantori del pulp, quanto piuttosto in
modo sussurrato e gentile. Ad apparire sono infatti i fantasmi della nostra
infanzia, fatti di notti gelate e inquietudini, turbamenti e povertà
da paesello di montagna uguali nella val Vigezzo di Mazzi e ad ogni altra
latitudine, perché lo stupore e la meraviglia sono «l'unico
linguaggio attraverso il quale l'uomo è in grado di esprimere l'indicibile».
Leggerlo perché: È un tuffo in un mondo
che non c'è più e i piccoli brividi provocati dalla lettura,
non solo salutari e divertenti, danno la stura a una riflessione sulla
condizione dell'uomo, che non possiamo permetterci di indagare, né
tanto meno risolvere, con i soli strumenti della logica razionale e scientifica.
Il tuffo che Mazzi propone al lettore è insomma tutto sul versante
della logica affettiva e irrazionale, quella stessa che permette di adorare
il sole, amare una donna perdutamente, scommettere sull'esistenza di Dio,
credere fermamente di vedere ciò che veder non si può. Per
il resto, ci avverte l'autore, «non si fa storia rimuovendo il passato
dalla memoria, inaridendo le sorgenti della propria cultura» e,
aggiungiamo noi, neppure si potrebbe conoscere se stessi.
da
SPECCHIO
sabato 6 novembre 2004
BELLE PAURE IN VAL D'OSSOLA
Monica Perosino
Come
salvare gli affascinanti «racconti della stufa», che nei lunghi
inverni di neve riunivano le famiglie intorno al fuoco e alle castagne?
Erano gli anziani del paese a rivelare i segreti di streghe e diavoli,
di ritorni dall'aldilà, di segnali e presagi di sventura. Oggi
lo fa Benito Mazzi nel Piano delle Streghe. È una località
in Val d'Ossola, dove streghe e stregoni delle terre di confine fra Italia
e Svizzera si riunivano per il grande Sabba, orgia sfrenata alla quale
partecipava il «re del sesso», sua maestà il Diavolo.
Ma nei racconti di Mazzi non si parla soltanto di streghe e diavoli, ma
anche di un Piemonte avvolto dal mistero, che affascina con visioni e
simboli, fantasmi e morti che riappaiono in questo mondo e che, pagina
dopo pagina, ispirano una paura inquieta e sottile.
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