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LA REPUBBLICA domenica 16 ottobre 2005
Si
possono comporre con le mani o con l'aiuto di sagome, con una candela o
con più moderne fonti luminose, hanno anticipato il cinema con le
loro immagini in movimento.
Ora un grande illusionista, Arturo Brachetti, le rilancia con un libro e un nuovo spettacolo.
LA MAGIA ANTICA DELLE OMBRE CINESI
Un libro in uscita e un nuovo spettacolo.
Il grande trasformista Arturo Brachetti torna con un libro fotografico, Le ombre cinesi dove
racconta la magia e la tecnica di una delle più antiche arti teatrali.
E torna anche in scena con lo spettacolo L'uomo dai mille volti che
debutterà il 22 ottobre a Milano al Teatro della Luna per essere
poi replicato a Bologna, Napoli, Trieste e Roma.
Stefano Bartezzaghi
Si possono comporre con una mano, con due mani o con l'aiuto di sagome manovrate come fossero marionette (ma dal basso). Si possono realizzare con un'arcaica candela o con più aggiornate, e meno tremolanti, fonti luminose. Si possono proiettare alla buona contro un muro, a casa, o più professionalmente sul retro di uno schermo. Si possono esibire per il divertimento di un bambino che riconoscerà il cane, il cigno, il coniglio, oppure per una platea teatrale gremita di spettatori paganti. Sono le ombre cinesi, una semplice e antichissima forma di gioco e di spettacolo che - come accade per tutti gli incanti durevoli della storia dell'umanità - ha certamente a che fare con qualche archetipo più profondo e molto più complesso della forma che lo esprime.
Le chiamiamo "cinesi", ed è possibile che lo ombre con cui si gioca, si fa teatro e illusionismo siano state davvero inventate in Cina: ma propriamente sicura è solo la loro origine orientale. Nel Settecento che diffuse dalla Francia a tutta l'Europa la moda dei giochi d'ombra, "Cina" era il nome d'arte dell'Oriente più remoto. Un altro Mondo: e trattandosi di ombre pare appropriato parlare di other side, faccia nascosta. Per secoli quella delle ombre è stata una delle pochissime forme d'arte in cui si poteva avere immagini fittizie in movimento: e non a caso il primo, lunghissimo capitolo della sua storia si chiude con l'invenzione del cinema. Si era aperto, il capitolo, in qull'Oriente favoloso e altro, passando da India, da Giava e dalla Turchia, e arrivando in Francia nel momento in cui ci si divertiva con le silhouette, ritratti limitati al contorno. In un suo articolo Primo Levi (ora in L'altrui mestiere, Einaudi, 1985) ha fatto l'elogio di questo nome, silhouette: "Una parola che dipinge: è snella e leggera, affusolata... ed ha tutta l'aria di un grazioso diminutivo femminile, prezioso per descrivere, ad esempio, il corpo di una bagnante adolescente che si staglia contro il cielo tuffandosi da un trampolino". Ma come Levi ben sapeva non è un diminutivo: Etienne de Silhouette era il Ministro delle Finanze del Re Sole, che impose tasse pesanti e inefficaci, tanto che furono inventati i "pantaloni à la Silhouette" (privi di tasche), e che il suo nome passò poi a indicare provvedimenti stupidi, cose malfatte e, con un'estrema torsione di significato, ritratti limitati al contorno.
Ombra e silhouette sono proiezioni bidimensionali: ma la silhouette è tanto più suggestiva in quanto il profilo che l'ha originata risulta riconoscibile anche da pochi tratti, mentre l'ombra diventa spettacolare quando si separa dall'oggetto che l'ha proiettata e pare qualcos'altro. I suoi cultori si nominano con un francesismo non ancora registrato da alcun vocabolario: ombromani. Con l'invenzione del cinema, l'ombromania non è scomparsa: nel nuovo capitolo della sua storia è venuta in soccorso del cinema stesso (Bergman, Rossellini, Hitchcock: più recentemente si agitano ombre dietro uno schermo cinematografico in una gag di Nel corso del tempo di Wim Wenders, e il regista cinese Zhang Yimou ha dedicato il suo Vivere! alla storia di un ombromane nella Cina maoista, e per il resto si è trasformata in una forma magica di teatro, in cui la sorpresa e la fascinazione dello spettatore sono consapevoli dell'arcaicità del mezzo espressivo.
Per la copertina di un suo fondamentale libro dedicato alla Scoperta dell'ombra (Mondadori, 2000) il filosofo Roberto Casati ha impiegato una divertente illustrazione in cui un coniglietto inventa una scomoda postura per riuscire a proiettare sul muro l'ombra di una mano umana: come se Amleto decidesse di intraprendere la carriera teatrale. Ma l'arguzia della vignetta ci dice che l'ombra non è quel che sembra. L'ombra è ambra, ha cantato Paolo Conte. L'ombra è il teatro del mondo, secondo il mito platonico della ceverna, che nega la luminosità del mondo da noi percepito e la possibilità di una reale conoscenza terrena delle cose. L'ombra è uno spettacolo sacro a Chichénltzà, nello Yucatan, dove dai tempi dei Maya gli equinozi sono celebrati da un'ombra che risale la piramide, come il serpente che simboleggia la rigenerazione delle stagioni.
L'ombra segna la linea di confine fra le età del'uomo, nella potente
metafora narrativa di Joseph Conrad, L'ombra dei pianeti e dei loro rilievi
orografici si è offerta come quantità misurabile allo sguardo
dei primi astronomi, consentendo loro di approssimarsi alla conoscenza
delle dimensioni spaziali e dei e dei cicli temporali dei corpi celesti.
L'ombra è insomma il lato fantasmatico del visibile, ma anche il
suo residuo necessario, un dato razionalmente ponderabile. I bambini giocano
a pestare le ombre dei loro compagni; i pittori sanno che solo l'ombra
ancora i soggetti delle loro opere allo spazio virtuale della rappresentazione.
Senza ombre non c'è realismo: è non c'è neppure realtà. |