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da LA STAMPA ttL sabato 20 novembre 2004
BOBBIO, NELLA BALBUZIE C'E' IL DUBBIO
Bruno Quaranta
Come spiegare la balbuzie di Bobbio? Forse al "maggiore" torinese la suscitava la via in cui da sempre o quasi abitò, via Sacchi, a suo dire così "lunga, melanconica e monotona". Forse la lettura delle poesie di Noventa così invise al suo modello, Leone Ginzburg (i versi intitolati "Gobetti", in particolare: "Certe spiritosaggini non le ho dimenticate, e non le dimenticherò tanto presto" insisteva Leone). Forse la passione per Woody Allen - altra favella qua e là inceppata -, di cui il professore non si lasciava sfuggire un film. Forse il presagio che un odontotecnico, ignaro di Kelsen (e della norma fondamentale), avrebbe sbrindellato la Costituzione. O forse, come la lettera di Poe, la verità è diversa, semplice, lì sotto gli occhi. A rivelarla - sic - è un mago, come Claudio Gorlier nella prefazione a La balbuzie di Bobbio, felicemente identifica Beppi Zancan. L'ex assistente volontario (Zancan) fra il 1959 e il 1963 di filosofia del diritto, nella balbuzie del Maestro, che peraltro si manifestava solo durante le lezioni universitarie, "legge" una nitida vocazione al dubbio. Come non riaprire Politica
e cultura? "Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccoglier certezze".
Dubitava, Bobbio (Bindi per gli amici), ma non esitò a orientare verso lidi non cattedratici Beppi Zancan, nel giovin signore scorgendo un "artista", appellativo che in terra subalpina non ha un suono sublime, sinonimo qual è di lestofante, di lingera (i lingera carissimi a un'ulteriore figura dell'Università torinese, Pietro Chiodi, l'ambasciatore di Heidegger in Italia).
Bobbio dissuase Zancan dalla cattedra omaggiandolo di un paragone lusinghiero: "Bobbio - ricorda l'ex assistente volontario - mi disse che ero "come Pavese", un artista cioè, intendeva dire, e non uno studioso serio", ovvero metodico, canonico, incline ai riti accademici.
Accomiatando Zancan, Bobbio offriva un contributo alla definizione di se stesso (avrà occasione di dire a chiare lettere che è Gobetti il protagonista della sua Torino, non Pavese, l'antagonista, Pavese l'impolitico, Gobetti il politico, Pavese il predestinato, Gobetti l'artefice del proprio destino). Quindi porgendo un'ancora di salvezza all'estravagante allievo, forse osservato speciale da Fruttero e Lucentini allorchè misero in cantiere La
donna della domenica (idea iniziale, in breve accantonata: il suicidio di un vincitore di concorso universitario, inorridito dal futuro inamidato che lo attendeva).
Jazzista (clarinettista), pittore (Rembrandt come stella polare), critico d'arte, scrittore di divagazioni, bastiancontrario di esimia stoffa, Beppi Zancan porge un ritratto in chiaroscuro (a proposito di Rembrandt) di Bobbio, fra la dittatura, il Sessantotto, le mene di Facoltà... Non dimenticando di svelarsi per contrasto: la nostalgia per i Padri gesuiti, il culto di Dostoevskij (come Fedor Michajlovich, tra la Verità e Gesù sceglie Gesù, subito dopo mettendo Bobbio), l'amore per i gatti, la necessità di "parlare soltanto di cui di ciò si dovrebbe tacere". Quando, per esempio, rari attimi evocava le feste giovanili animate dal mondano Leone Ginzburg, modulando un frivolo motivetto ("Mon pays est Paris"), subito intimando: "Ma questo non lo scriva!".
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da
LA STAMPA Specchio sabato 26 febbraio 2005
IL PIFFERAIO DI BOBBIO
Piero Bianucci
Di notte,
su un treno sferragliante tra le risaie vercellesi, si incontrano dopo
quarant'anni il bibliotecario dell'Istituto di Scienze politiche dell'Università
di Torino e un uomo nell'età dei bilanci, gran dilettante della
vita: pittore, clarinettista jazz, editore, giornalista. Si riconoscono.
Li unisce un nome consacrato: Norberto Bobbio. Il Gran Dilettante ne fu
assistente volontario negli Anni 60; il bibliotecario un devoto dipendente.
Rievocano il Maestro. Non il pensiero alto, nitido e razionale, bensì
una lieve balbuzie, che diventa metafora del dubbio: non solo il dubbio
che sempre accompagna il buon pensatore, ma forse una più profonda
incrinatura dell'anima, un tarlo ambiguo e rimosso. Un racconto insieme
affettuoso e corrosivo, che sotto il mito cerca la fragilità dell'uomo.
Finale a sorpresa.
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