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LA REPUBBLICA sabato 12 luglio 2003
LA RELIGIONE DEL WEEKEND - I 2 GIORNI CHE UNISCONO IL MONDO
Così il fine settimana è diventato una
regola in tutte le culture
Gabriele
Romagnoli
In
questo preciso momento, mentre leggete queste righe, ne istate vivendo (male)
uno. Lo fate come fosse una cosa naturale, ma state aderendo con placido
conformismo a una struttura binaria della vita che è, invece, artificiosa:
figlia della superstizione prima
e di tutte le religioni poi; sponsorizzata dal capitalismo, da Henry Ford
e d a Hollywood; politicamente trasformista, rivendicata dal socialismo,
imposta dal fascismo, per questo impermeabile perfino alle rivoluzioni.
Al gioco dell' esistenza domina uno schema fisso: 5-2.
Cinque giorni di lavoro, poi, "grazie a Dio è venerdì"
(ma Allah gioca d'anticipo) e arriva il weekend.
E' una di quelle cose che si danno per scontate, si assumono nella personale
biologia, si tramandano ai figli: "Il sole sorge a est, quando avrai
la mia età vedrai le cose diversamente e, ah, quel che conta è
il divertirsi nel fine settimana". Tranne che per il sole, non è
così. A quelli che già lo sospettavano lo dimostra il professor
Witold Rybczynski, origini polacche, natali inglesi, una cattedra in Pennsylvania.
Ha scritto un libro dal titolo "Aspettando il weekend" in cui
smaschera l'immagine fasulla di questa tradizione globale e rivela quel
che già sappiamo: ce la siamo conquistata, ma, non cadete dalla brandina,
schiaccereste qualcuno, la viviamo nel peggiore dei modi possibili. In principio
era la settimana. E già lì, la scansione del tempo che ci
appare ovvia è priva di ogni fondamento. Il giorno accompagna il
movimento del sole, il mese quello della luna, l'anno quello delle stagioni.
La settimana: niente. Esiste perchè sì. I babilonesi ritenevano
magico il numero sette. Sette furono (inizialmente) i nomi di Dio, i pilastri
della saggezza, i sapienti dell'antica Grecia, i colli e i re di Roma. Matematicamente,
il sette è un numero primo. Astronomicamente, sette corpi in movimento
erano visibili nel cielo notturno. Creare un nucleo esistenziale di sette
giorni ebbe un valore magico e pratico. Si diffuse oralmente, ma fu ritrovato
anche laddove nessuno era mai arrivato a tramandarlo, come alcune tribù
degli indiani d'America. Secoli di applicazione determinarono nel corpo
umano un ritmo in sincronia, che oggi viene portato a dimostrazione della
naturalezza della settimana, ma di naturale c'è solo la conseguenza.
Ci hanno provato a farla fuori, ma in modi maldestri. I rivoluzionari francesi
riesumarono la decade, la Russia di Stalin provò un ciclo di cinque
giorni, i khmer rossi della Cambogia, accecati dall'odio per la vita, imposero
blocchi mensili con intervalli di un giorno: lo schema 30-1, che garantisce
retrocessioni all'inferno.
Il movente di questi "attentati" era chiaro e lo esplicitò
Voltaire: "Per distruggere la religione cristiana bisogna prima abbattere
la domenica cristiana". Ogni fede ruota intorno a un giorno sacro,
limitandosi a cambiarlo per dimostrarsi originale: venerdì islamico,
sabato ebraico. L'assalto al cuore della settimana mira al cuore di una
religione. Le salvò tutte quante, il capitalismo. Lo fece senza volerlo.
Nel
1914 l'industria britannica introdusse la domenica lavorativa. aspettandosi
una maggior produzione, necessaria per lo sforzo bellico. Accadde il contrario:
privi di soste gli operai si rivelarono meno efficenti e più indisciplinati.
Meglio dare loro la pausa prescritta dai comandamenti e, perchè no,
quell'appendice che già cominciava a diffondersi. Nel 1879 la rivista
inglese "Notes and queries" aveva usato per la prima volta la
parola "weekend" e, in un universo nominalista, questo sancisce
la nascita di un comportamento. Nel 1908 una filanda del New England chiese
la settimana di cinque giorni per concedere agli operai ebrei di celebrare
il sabato. Un primo imprenditore la concesse nel 1926: il suo nome era Henry
Ford, produceva automobili, era un genio e aveva capito che, con due giorni
di tempo, gli uomini di tutto il mondo avrebbero preso l'abitudine di accendere
il motore il sabato mattina per andare a trascorrere un gioioso weekend
in fila dentro scatole di metallo. I produttori della nascente industria
cinematografica verificarono gli incassi di un sabato non lavorativo e si
unirono alla lotta. L'ondata si propagò nel mondo. Era, come molte
presunte conquiste, una concessione degli occulti sovrani planetari, a loro
tornaconto.
In Italia il regime volle appropriarsene: il 20 giugno 1935 sancì
per legge il "sabato fascista". Treni speciali per esodi di massa,
biglietti scontati a teatro e, soprattutto, grandi manifestazioni sportive
all'aperto: "Respirare! Divertirsi! Sorridere!". Se non altro,
aveva smascherato la natura forzata di quell'intervallo. Poi, la consuetudine
dilagò, con le parziali eccezioni di Israele e del Giappone (dove
manca una parola che significhi "tempo libero"). Oggi, che è
sabato, praticamente tutto il pianeta è in pausa: i cattolici in
vigilia, gli ebrei in piena festa, i musulmani nella coda. Salvo eccezioni,
la vera religione praticata è quella dello svago. La libertà
è stata barattata con il tempo libero. L'impegno profuso nella pausa
supera spesso quello dedicato al lavoro. Qualunque attività uno pratichi
nel weekend lo fa da "professionista". Nota Rybczynski come sia
diventato spregiativo il termine "dilettante", che pure ha la
radice del "diletto", il puro divertimento trascurato da legioni
di professionali tennisti, velisti, arrampicatori (sociali e non), danzatori
e seduttori del fine settimana. Avere accettato lo schema 5-2 ha reso il
gioco scontato e prevedibile, adeguandolo alle esigenze di allenatori che,
sotto la tuta, sono sacerdoti, profittatori o despoti. Sabotarlo pacificamente,
adeguando la scansione del tempo a desideri più autentici sarà
l'annuncio di una rivoluzione vera e di "un mondo bambino, dove si
fa la cosa giusta, da dilettanti".
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