INTRODUZIONE
Il Settecento è un'epoca di grandi mutamenti per il teatro: com'è noto, è il secolo in cui si tenta di richiudere la forbice aperta tra autori e attori, e tra autori e pubblico. I vari tentativi di riforma non mirano che a questo: a far collaborare gli attori e gli autori, a far concretizzare sulle scene un testo letterario trasformandolo in testo teatrale capace di soddisfare gli orizzonti d'attesa del pubblico. Se questo avviene per la commedia, grazie soprattutto goldoniana, per la tragedia il divario tra autori ed attori rimane improntato per tutto il secolo a una diffidenza reciproca. Rare sono le collaborazioni dirette (il caso più significativo resta quello di Scipione Maffei e dei Riccoboni) intese a fondare una tradizione recitativa italiana del genere tragico. Gli amori, spesso di estrazione aristocratica e depositari di una tradizione letteraria culta, non accettano di venire a patti con la realtà delle compagnie teatrali: lungo tutto il secolo i letterati propongono teorie per il rinnovamento del teatro tragico italiano, ma le loro "ricette" testimoniano, e talvolta esagerano, il giudizio negativo sul mondo del teatro professionistico.
Ma, accanto alla mancanza di una tradizione recitativa, a chi nel
Settecento voglia scrivere tragedie si pone subito un altro
problema: su cosa fondare l'azione tragica. La tragedia in Grecia
era potuta nascere e fondarsi sulla passione, da parte del protagonista, di un fato ineludibile e stilla politica antitirannica interna al sistema della palis. Il teatro francese del Seicento aveva poi saputo rinnovare il dissidio tragico, fondandolo sull'ideologia cortigiana dell'onore e sul contrasto dell'onore stesso con le passioni (in primo luogo l'amore). Tutte queste motivazioni risultano estranee alla condizione politica e culturale italiana del Settecento.
Quando, all'inizio del Settecento, i letterati italiani esprimono la necessità di un teatro tragico da parte dell'Italia, hanno in mente non tanto un confronto nazionalistico con la Francia, sul quale troppo si è insistito, ma tma nuova idea di letteratura da contrapporre a quella secentista. La nuova letteratura deve, cioè, rifiutare il semplice diletto e l'inverosimile barocco, e diventare strumento di azione morale, deve - recuperando un antico precetto - istruire e dilettare nello stesso tempo. La tragedia, poi, ha una funzione fondamentale che le deriva da un fraintendimento del testo della Poetica di Aristotele. La tragedia purifica o attenua le passioni che, secondo una concezione tipica dell'età moderna, sono pericolose e in senso politico e nel senso della felicità umana, poiché allontanano l'uomo dalla condizione della prudenza o, più tardi, del senso comune. La tragedia del Settecento sarà, allora, tragedia delle passioni: in essa le passioni conducono il protagonista a soccombere o, se ben dirette, in molti casi - secondo un'ideologia ottimistica del tragico propria del Settecento - a superare il male e a giungere al lieto fine.
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INDICE Tomo I
Introduzione di Enrico Mattioda
Bibliografia
Gianvincenzo Gravina,
Servio Tullio
Scipione Maffei,
Merope
Pier Jacopo Martello,
I Taimingi
Antonio Conti,
Druso
Appendice
INDICE Tomo II
Alfonso Varano,
Giovanni di Giscala
Saverio Bettinelli,
Serse re di Persia
Alessandro Verri,
La congiura di Milano
Alessandro Pepoli,
Adelinda
Giovanni Pindemonte,
Elena e Gerardo
Appendice |


a cura di Enrico Mattioda
TRAGEDIE DEL SETTECENTO
editore MUCCHI EDITORE
edizione 1999
pagine 1176
formato 13,5x21
brossura
tempo medio evasione ordine 2 giorni
62.00 €
62.00 €
ISBN : 88-7000-321-3
EAN : 9788870003215
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