Una mattina molto americana
di Paolo Conte
Preceduto dalla fama di grande clarinettista dixieland e dalla leggenda di uomo che aveva vissuto giorni misteriosi, Mingo Chiodo detto «il Duca», accompagnato dal maestro di tennis Giorgio Mathis, detto «Nature, nature, perché mi hai fatto cosi bello?», venne ad ascoltarci nella sala prove di via Hope una sera d'inverno. Sarà stato il 1952.
Aveva la barba lunga di tre giorni e un paltò che gli arrivava ai piedi, stile reduce e lo sguardo perso net vuoto. Ci chiamavamo «Original Barrelhouse Jazz Вaпd» ed eravamo degli emeriti dilettanti, nessuno studio, nessuna tecnica, solo passione e cultura fatta sui dischi.
Non disse una parola e dopo due ore di ascolto girò i tacchi. Poi, visto i nostri sguardi delusi, si rigirò e ci diede appuntamento per strada il pomeriggio dopo. Cominciarono cosi due anni di insegnamento empirici, ripetuti quotidianamente, che consistevano nel camminare per corso Dante e corso Alfieri in fila per quattro, producendo ciascuno un suono diverso con la bocca per imparare ritmi e contrappunti (tu fai «blum», tu fai «plick, plick», tu fai «zum, zum», tu fai «rad, rad». Cosi passavano i pomeriggi il guru e i suoi otto adoranti allievi.
Lui parlava poco di sé e si manteneva avvolto nel mistero. Ogni tanto qualche concetto di vita che ci spalancava orizzonti, tipo: «C'é più violenza in una cambiale protestata, che in un pugno in faccia». Noi insistevamo, ma lui si rifiutava di suonare con noi indegni. Guai a dargli del tu, sempre rivolgersi con il «lei».
Ogni tanto, durante le prove, ci sottoponeva ad altri rituali: le trombe dovevano eseguire una nota lunga fiпо a che le labbra non sanguinavano, il batterista costretto a battere la grancassa per due ore mentre lui lo strafotteva con ogni sorta di epiteti e noi, intorno a semicerchio, attoniti ad assistere alla tortura. Non avevamo più i nostri nomi, ma soltanto soprannomi: «Mistinguett», «il Canadese» , «Faina», «Cicciolo» ecc. ecc. Chi era il più snob del Mingo in quei giorni? Una mattina di novembre stavo appoggiato ad un muretto nelle vicinanze di casa mia. Avevo deciso di non andare a scuola e aspettavo che mio padre fosse uscito per andare all'Ufficio del Catasto, cosi avrei avuto via libera per rientrare.
Il cielo era di un grigio americano, i miei pensieri fissati sul jazz. Passa di lì Mingo: «Cosa fai?», «Non vado a scuola» . «Bravo, vieni con me, andiamo a provare un sassofono» e mi porta a casa sua, dove tira fuori un malandato sax soprano e lo mette a mollo in un lavabo con l'acqua fredda per ammorbidire i cuscinetti di cuoio. Quindi lo avvolge in un giornale e partiamo alla volta del teatrino dell'oratorio Don Bosco, dove c'era il pianoforte.
Il Duca aveva capito che io mi destreggiavo un po'sul pianoforte e sarei stato in grado di accompagnarlo. Quale immenso onore!
Vennero fuori, in quella penombra, tutte le meraviglie che mai mi sarei potuto immaginare, tutte le essenze del vero jazz, il grande linguaggio che scorreva nelle vene dell'America, uno dei più bei ricordi della mia vita.
Mingo Chiodo da più di quarant'anni ha deciso di non suonare, ma se volesse prendere in mano uno strumento sarei pronto ad accompagnarlo ancora per saecula saeculorum.
Paolo Conte |
INDICE
Nota dell'Autore
«Una mattina molto americana» di Paolo Conte
Capitolo I - II jazz, autobiografia di un popolo
Capitolo II - Il jazz in Italia
Capitolo III - Il periodo bellico
Capitolo IV - La guerra è finita
Capitolo V - Ballo, musica e musicisti
Capitolo VI - Tre indimenticabili amici
Capitolo VII - Il Duca. Un testimone autorevole
Capitolo VIII - Dai gruppi studenteschi alla Lazy River's Jazz Society di Paolo Conte
Capitolo IX - La Mobil Swing Band
Capitolo X - Asti e dintorni: altre realtà musicali |
Armando Brignolo - Paolo Conte
UNA SOTTILE LINEA ROSSA
editore HASTA
edizione 2008
pagine 124
formato 21x30
brossura
tempo medio evasione ordine 2 giorni
15.00 €
15.00 €
ISBN : 88-902398-6-7
EAN : 9788890239861
|
|