Avere un figlio, piantare un albero, scrivere un libro. In tutt'e tre
i casi-come Gagliardo prospetta nel suo incipit-non si fa altro che agganciare
quel po' di futuro possibile formicolante in noi e di noi. Le prime due
ambizioni sono molto contadine, la terza no.
Ma in tempi di cultura scritta molte cose sono cambiate e anche chi nasce
contadino può pensare a scrivere un libro come impulso ad un farsi
più umano. Personalmente ne dubito, ma non ha importanza. Che Gagliardo
abbia sentito l'esigenza di raccontare il mondo nativo del Roero non può
che offrirci un tassello in più per ricostruire quel mondo
che oggi è definitivamente perduto.
Dirò subito per altro che in questi frammenti di memoria non c'è
sfogo di nostalgia, o perlomeno non c'è nostalgia che trapeli,
perchè i quadretti ambientali (le figure che vi si muovono, i gesti
o le piccole gesta che vi si compiono) non concedono niente o quasi niente
alla poesia (legittima quando forte) degli ubi sunt e alla
contemplazione delle neiges d'antan.
Gagliardo ha avuto un'infanzia contadina e si è scoperto via
via una vena da imprenditore, ma non mostra di aver amato il suo mondo
più di quanto non dica di averne vagheggiato la fuga. Di fatto
ha compiuto quasi inconsapevolmente e certo molto lentamente l'esperienza
del distacco, che altri ha magari raccontato con più letteraria
e accorta consapevolezza.
Lui è semplicemente tornato sui suoi passi per fissarne l'asprezza
e anche-più pudicamente-un amore di ritorno, tenendo fisse dentro
di sè le coordinate di un'emozione che proprio in grazia dell'ossimoro
si direbbe "arida", volendo significare che nella sua ricostruzione
c'è più minuzia di luoghi e di rituali che sovraesposizione
emotiva.
Si tratta di un mondo ad alta definizione, un microcosmo che la memoria
ricostruisce scaglia a scaglia, come può, come sa, non negandosi
nemmeno ai vuoti che l'oblio le ha causato.
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Non
ricordo chi mi disse che un uomo per considerarsi realizzato deve fare almeno
tre cose durante la vita: avere un figlio, piantare un albero e scrivere
un libro.
Ho tre figli, ho piantato alberi e vigne, vorrei ora provare a scrivere
un libro ma non certo per adempiere al precetto.
Vorrei semplicemente riassumere ciò che ho vissuto, raccontarmelo
ora in questo punto della mia vita, che è così radicalmente
diverso da quello di partenza, ma forse meno diverso da quello di arrivo.
Il mestiere che faccio è solitamente un testimone che passa da padre
in figlio. Io invece mi sono trovato quasi per caso a produrre vino e ancora
oggi mi chiedo se era veramente questo il mestiere per me.
Fin dall'inizio ho cercato di ottenere dal mio lavoro non tanto un ritorno
economico, ma un risultato culturale e sociale. Così sono cresciuto,
conoscendo gente, luoghi, costumi, storie. E' stata questa la mia scuola,
non avendone avuta granchè dai banchi e dai libri.
Vivo in un borgo di cinquanta anime e ogni anno passo almeno duecento ore
in aereo.
Più conosco città come New York, Los Angeles, Tokyo, Sidney,
più amo le mie Langhe.
Potrei paragonarmi ad una modesta scultura, riuscita discretamente dopo
quarant'anni di martello e scalpello usati con rabbia, passioni e ansie
nella materia morbida che ha preso forma lasciando cadere a terra scaglie
di se stessa, parti che non le potranno mai più appartenere.
Io desidero
raccogliere quelle scaglie in forma di semplici appunti di viaggio.
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Gianni Gagliardo
SCAGLIE
editore L'ARTISTICA
edizione 2002
pagine 160
formato 15x21
legatura cartonata con sovracoperta colori
tempo medio evasione ordine ESAURITO
14.40 €
14.40 €
ISBN : 88-7320-054-0
EAN :
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