Coltivare la terra ci fa sentire orgogliosi di aver partecipato ad un processo produttivo, aiuta a rafforzare la nostra identità: nell'orto possiamo esprimerci ed è in verità un grande atto creativo, è un'esperienza occidentale di mandala commestibile.
Siamo noi che sperimentiamo cosa e come piantare ed ogni campo diventa un quadro unico, nell'orto ci riappropriamo dei nostri limiti, siamo nel nostro elemento, sotto il cielo e con i piedi per terra tutto ritorna naturale.
Il tempo scorre, ma noi sentiamo di vivere momento per momento e le coltivazioni ci insegnano quanto siano utili la pazienza e l'amore con un'emozione di accoglienza; ci pervade un senso di profonda gratitudine e riviviamo il privilegio dell'essere amati.
Alcune mattine al risveglio ho pensieri un po' cupi: riusciremo a fermare il riscaldamento globale, avrà corso il protocollo di Kyoto ma soprattutto riuscirò a togliermi il vizio della cioccolata ?
Quando sono nell'orto, i piedi nella terra, le mani al lavoro, la luce naturale attorno a me... le angosce scompaiono. Viene facile comprendere gli antichi persiani, per i quali la parola paradiso significa orto circondato da mura.
Chi come me ha fatto l'esperienza di coltivare un orto sa che questo è vero, ci sentiamo in paradiso prendendoci cura del nostro "pezzetto" di terra: tra pomodori, cavoli e insalate, qualsiasi tempo, atmosferico e psichico volge al sereno.
Un colpo di zappa e le tensioni si allentano e col sudore arriva spesso anche un sorriso.
E quando raccogliamo il frutto del nostro lavoro, che sapore unico!
È il gusto della nostra storia che portiamo in tavola, introduciamo dentro di noi qualcosa di familiare, di affettivo, sappiamo la fatica, il tempo, l'amore che quel pomodoro, quella carota ci sono costati, e ci coglie naturale un rispetto che abbraccia il nostro corpo e ciò che mangiamo. |
PRESENTAZIONE
È un bel libro L'orto delle fate, soprattutto è ben più di un manuale. Insegna a fare cose ma anche fa pensare, in senso generale. A me ha fatto ricordare, per esempio, di quando, erano gli anni settanta, si incominciava a parlare, e a sperimentare, di (e sulla) pet therapy. Il fatto cioè che gli animali da compagnia, cani e gatti ma non solo, producessero un effetto positivo, perfino terapeutico, a persone con certe malattie psichiche. Un cucciolo di cane poteva sbloccare la socialità, repressa e nascosta, di un bambino autistico, ed anche persone non così gravemente malate potevano trarre vantaggio dalla compagnia d'un animale. La depressione, per esempio. Persone anziane provavano benessere nel dover accudire un gattino o un cagnolino, persino una coppia di pappagallini. E allora cif u chi provò a vedere l'effetto che poteva avere curare, addirittura, un vaso di gerani. Ebbene, anche questo faceva bene. Perché una pianta è viva ed è bello osservarla, vederla svilupparsi, e se è domestica anche si percepisce che ha bisogno di noi. Insomma, aver rapporti con dei viventi, animali o vegetali che siano, può far bene a tutti. Non c'è bisogno d'essere malati.
E il mio pensiero è andato ai magici orti di Silvia. Si, mi sono detto, anche accudire un vegetale può regalarci molto. È un'esperienza che può dare molto a un bambino, tra l'altro, farlo crescere meglio, insegnargli tante cose della vita. Sì, l'orto può spiegare che la vita è bella e che noi possiamo costruircela addosso diversa. Più personale e più nostra. Noi protagonisti e insieme osservatori curiosi. Naturalisti curiosi, diceva Niko Tinbergen.
E poi ho fatto quest'altro pensiero: l'orto è un regalo femminile. Pensiero che mi viene da molto ma molto lontano, da migliaia di anni fa. Quando cioè iniziò il primo addomesticamento di animali e di piante. Erano tutti cacciatori di animali gli uomini, mentre le donne erano raccoglitrici di vegetali, e la transizione (dal paleolitico al neolitico) consistette, per uomini e per donne, nell'inventare l'allevamento. L'agricoltura e la pastorizia. Bene, non possono essere state che le donne (erano loro a possedere le competenze botaniche) quelle che iniziarono a curare, seminare, innaffiare, selezionare e proteggere le prime piantine. Quella speciale, un po' artificiale, biodiversità, che costituì il primo prato coltivato, il primo e antichissimo orto.
È passato tanto tempo da allora ad ora, e come è cambiato quell'ambiente circoscritto che da sempre chiamiamo orto. L'ultimo è questo, poeticamente detto "delle fate", un paradiso che mantiene però intatti gli antichi valori e significati, che va letto, credo, soprattutto come un invito ad avere un rapporto diverso con l'ambiente, con il cibo, in definitiva con noi stessi. Un racconto - una sorta di dolce didattica - che, nonostante utilizzi, al di là delle parole, una grafica giocosa e favolistica, non può essere che un discorso serio.
Danilo Mainardi |
Silvia Donini
L'ORTO DELLE FATE
editore EDAGRICOLE
edizione 2011
pagine 206
formato 19,5x22,5
brossura con alette
tempo medio evasione ordine 3 giorni
18.00 €
14.40 €
ISBN : 978-88-506-5368-3
EAN : 9788850653683
|
|