Maria Bonato Calandri è nata nel 1900. Rimasta orfana a tre anni, passa l'infanzia in collegio dove studia e si diploma maestra. Giovanissima, inizia a insegnare nella scuola elementare di Trinità, un piccolo paese delle montagne cuneesi, dove ha trascorso tutte le vacanze estive, ospite del prevosto suo tutore.
Nelle pagine di questo racconto autobiografico, scritto negli anni Cinquanta in età matura, emergono tutti i passaggi esistenziali
di chi ha attraversato la prima metà del Novecento tra i fatti minimi del villaggio e la grande Storia, che con due guerre mondiali ha spazzato via un mondo fatto ancora di paradigmi antichi. In queste pagine - di assoluta onestà intellettuale e modernissima scrittura - ritroviamo tutti i topici del racconto di formazione, senza finzioni letterarie ma genuinamente estratti dalla memoria. Commuove il rapporto dell'Autrice con il torrente locale - il Kant -, che partecipa con il suo mormorìo, il suo canto, il suo fragore, ai momenti più significativi della vita di questa giovane donna. Tenerissimi i brani che la calano nei riferimenti etici della sua epoca: Dio, Patria, Onestà, Morale, Amicizia, Pietà.
Nelle sue pagine poi, l'alpino - difensore e sentinella della Patria e uomo della montagna - assurge a simbolo quasi metafisico dell'alpe. Con un ufficiale degli alpini convolerà a nozze e con lui percorrerà la strada più buia e più stretta del secolo passato, in una seconda guerra che l'autrice più non accetterà con lo spirito di giovane maestra innamorata della vita.
Il ritorno a Trinità, negli anni del dopoguerra, il riscoprire il «suo» Kant ridotto a umile ruscello, il non ritrovare gli affetti e le persone care, toccano nella parola scritta i più alti momenti del commiato, limpida metafora dell'esperire umano.
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Leggo un vecchio foglio ingiallito. Nell'alto silenzio della valle, canta il torrente. Sono sul nero balcone di legno della canonica. Dilato le narici per bere quanta più posso di quest'aria pura, e gli occhi, nel desiderio di prendervi dentro tutto il verde e tutto l'azzurro che mi circonda. Sulla strada nessuno. Nei prati e nei campi, sui declivi della montagna, uomini e donne intenti al lavoro.
Giunge a tratti il tintinnio dei campanelli delle capre al pascolo. È un rumore, una voce, un canto. Pare voglia dominare il vocìo sommesso e confuso degli insetti, i rumori lievi e indistinti delle foglie, la voce, possente e dilagante, del vasto silenzio montano.
Scorre il torrente nel fondo della valle. Ora più calmo, ora più impetuoso.
Il suo letto è pieno di sassi e di grandi massi, sui quali l'acqua scivola, contro i quali batte, rimbalza, spumeggia, s'infrange, rompendosi in mille spruzzi freschi e iridescenti. Scorre, e canta una canzone sempre uguale e sempre nuova, che è solo sua, e che gli viene donata. L'ottiene cogliendo dai monti, dalla valle, dagli uomini, dalle cose. Raccoglie, unisce, associa, come fa un maestro d'orchestra, col suono di tanti strumenti. E quando di tanti brusii, rumori, canti, suoni e tintinnii, ne ha fatto un tutto unico e armonico, ce lo ridà. Ricco di melodia, e capace di risvegliare a sua volta nelle orecchie e nell'anima di chi ascolta, lieve e distinta, ogni armonia, così come l'ha raccolta.
Ho sentito il suo canto, nel chiaro mattino di primavera. Ed è stato come un saluto per la giornata nuova, un invito alla vita fidente e gioiosa. Mi ha accompagnata tante volte la sera, di ritorno da una gita, per un lungo tratto. E unito alla dolcezza del tramonto il suo canto ha acquistato una potenza nuova di penetrazione e di linguaggio.
L'ho udito nella mattina di San Giovanni, mentre seguivo con l'occhio le mandrie che per la mulattiera salivano ai monti. E mi ha rimandato il suono dei loro campani.
L'ho cercato il suo canto, nelle bianche e silenziose sere invernali, mentre la neve si aggiungeva alla neve. E tutto taceva. E tutto era uguale, nel buio biancastro dell'alpe. Dov'era la vita? La mia giovinezza era triste e sola.
La neve era tanta, che pareva dover isolare il villaggio. Sostavo sul nero balcone, e tendevo l'orecchio. Ecco: sotto il pesante lenzuolo, cantava. E il suo canto, che pareva ovattato, mi diceva che la vita continuava anche sotto quel silenzio di gelo.
Sono passata allegra sopra i suoi ponticelli improvvisati, fatti di tronchi d'albero, di frasche e di terra, quand'ero ancora bambina. Cantavo, con i miei fratelli, le dolci canzoni di un tempo. Fior di montagna, l'acqua che scorre a valle, non mi bagna. Passavamo tenendoci per mano, formando una piccola catena umana.
Per non cadere. Poi la catena si è spezzata. E ognuno è andato per la sua vita.
Ma il suo ricordo, ognor mi accompagna. Ascolto il suo canto che è nell'orecchio e nel cuore, come ogni cosa che rimane e non muta, mentre noi andiamo, non rimaniamo, mutiamo.
[..]
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Maria Bonato Calandri
NOVECENTO - AUTOBIOGRAFIA DI UNA MAESTRA
editore PRIULI & VERLUCCA
edizione 2009
pagine 160
formato 17,5x25
cartonato con sovracoperta a colori
tempo medio evasione ordine ESAURITO
16.90 €
16.90 €
ISBN : 978-88-8068-456-5
EAN : 9788880684565
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