Milano, 1950. È sera, una fredda e buia serata invernale, piove a dirotto. In una vecchia casa di ringhiera, a Porta Venezia, il corpo di una bella donna sulla quarantina, sposata e madre di due figlie, si sfracella sui ciottoli del cortile, precipitando dal quarto piano.
L'inchiesta tocca a Mario Arrigoni, commissario capo del Porta Venezia. Tutto farebbe pensare a un suicidio, ma qualcosa nella dinamica dei fatti non convince Arrigoni. Comincia così un'indagine che si svolge in una Milano grigia e fredda, da poco uscita da una guerra le cui macerie sono ancora visibili nelle strade. Mentre intorno sopravvivono usi e costumi destinati presto a sparire.
Il piccolo mondo dei coinquilini della presunta suicida sfila davanti ad Arrigoni, rivelando diversi personaggi curiosi, una portinaia molto perspicace, nonché miserie, ambizioni frustrate o sbagliate, velleità...
Al termine degli interrogatori, il collaudato metodo investigativo e una felice intuizione portano il commissario Arrigoni alla soluzione del caso, una soluzione del tutto imprevedibile quanto amara. |
2 marzo 1950, giovedì, alle ore 19.50 circa, tutto era tranquillo, nella vecchia casa milanese di ringhiera di via Tadino 17/a, a Porta Venezia. Una debole luce filtrava dai vetri delle seconde porte e dalle finestre dei molti appartamenti che si affacciavano sul cortile, distribuiti sui quattro piani dello stabile. Quasi nessuno aveva ancora chiuso la porta principale, quella in legno massiccio, che rimaneva aperta fino all'ora del sonno.
La gente stava consumando il pasto della sera o, nella maggior parte dei casi, lo aveva già terminato. Lì si mangiava presto, sia per una tradizione dura a morire che veniva dalle origini contadine dei più, sia perché la mattina tutti andavano a lavorare di buon'ora. Operai, artigiani o negozianti, finito il pasto, si coricavano subito dopo un po' di radio o una lettura più approfondita della "Gazzetta dello Sport». La mattina, fra le sei e le sei e mezzo, suonavano le sveglie. E dopo un caffè o un caffellatte, via verso il lavoro in tram, in bicicletta o in moto, per quei pochi che la possedevano, portando con sé l'immancabile "schiscèta'', il classico contenitore in alluminio con dentro già pronto il pasto di mezzogiorno, solitamente una frittata, un po' di minestra, o semplicemente pane, salame o formaggio. A casa rimanevano solo le donne che, dopo aver preparato i figli per la scuola, si dedicavano alle faccende domestiche. Poche, infatti, avevano un lavoro fisso che le impegnava per tutta la giornata.
Il cortile era buio, sfiorato solo indirettamente e debolmente dalle luci delle abitazioni. Unica eccezione, il fìotto luminoso che usciva dalla porta del retro del caffè-tabaccheria.
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Dario Crapanzano
IL GIALLO DI VIA TADINO
editore FRILLI EDITORI
edizione 2011
pagine 168
formato 12x19
plastificato con alette
tempo medio evasione ordine 2 giorni
10.50 €
8.90 €
ISBN : 978-88-7563-661-6
EAN : 9788875636616
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