FORTUNATO IL CAPOSTAZIONE DI MONCALVO Racconti monferrini degli anni Quaranta |
"La
vedi quella? Sarebbe ancora nostra se mio padre non se la fosse giocata
a carte" aveva detto la nonna di Bruno Gambarotta, la cui famiglia
evidentemente aveva dovuto sorbire rovesci di fortuna piuttosto consistenti
a causa della passione per il gioco da parte del bisnonno. Bene, anche la mia famiglia aveva dovuto attraversare momenti burrascosi e rovesci di fortuna. Da proprietari di fabbrica di caramelle (le famose caramelle Maggi) si era poi passati a direttori di alberghi anche di lusso, grazie al cognato di mio padre. Una vita dunque facile e dispendiosa, troncata di botto da vicissitudini che non anticipo perché faranno parte della serie di racconti che ho scritto quasi di getto per ricordare soprattutto i miei meravigliosi genitori. Eh sì, perché la mia infanzia e la successiva adolescenza mi hanno portato a vivere nel periodo di guerra e di grande disagio, questo è vero. Ma i disagi sono stati attenuati perché li ho vissuti all'interno di una famiglia solida, allegra, ironica, solidale. Sì, l'ironia era di casa nell'alloggio sopra la stazione ferroviaria di Moncalvo Monferrato e la famiglia Scaglione (la mia, insomma) ne faceva quotidiano uso. Quattro figli (la quinta se ne era andata a pochi mesi ed era la prima), nonna, mamma e papà erano passati da un grande benessere ad una risicata piccola borghesia. Io ero il più piccolo, un bambino dolce e tranquillo che una nostra vicina di casa (la Neta) aveva battezzato "semolino". Dunque, Semolino e la sua famiglia erano sbarcati a Moncalvo, reduci dal breve soggiorno nella stazione ferroviaria di Garessio, in provincia di Cuneo. Proprio a Garessio ebbi i natali ma ci rimasi pochissimo e subito approdai con la famiglia a Moncalvo, che sarebbe poi stata l'ultima tappa di queste peregrinazioni ferroviarie. Posizione di discreto prestigio, quella del capostazione. Soldi pochi, perché la stazione era catalogata tra le "assuntorie" e mio padre l'aveva dovuta vincere come gara d'appalto, anticipando gran parte della piccola scorta finanziaria che gli era rimasta. Soldi, dunque, pochi. Ma prestigio molto! La stazione era bassa, per salire alla "città" si dovevano percorrere almeno due chilometri a piedi o in corriera o nei calessi o ancora nelle rare automobili che circolavano. Il fatto che la città fosse in alto dava quasi un senso d'inferiorità agli abitanti della borgata. Ma, dato che negli anni tra il trenta e il quaranta di camion ce n'erano pochi, la stazione finiva per essere il polo dei trasporti. Nei vagoni bestiame (sì, quelli che poi portavano i deportati ai campi di concentramento) si consumava il rito della compravendita delle vacche e dei vitelli che si svolgeva ogni giovedì. Dalla stazione partivano i traslochi, il pollame, anche i tartufi, che dovevano essere sottoposti ad accurato esame per essere degni di... Ma questo ve lo dirò nel libro. Ciao, neh! |
INDICE Fortunato il capostazione di Moncalvo La "mia" Moncalvo Il Pindo La Minci La nonna Maria Zia Emma, ovvero la telenovela Lo zio Giovanni Che fatica essere "signori"! La "Stassion" e i suoi abitanti Teresot La Pierina, 'l Mini, la Carla... 'L Giusto e il teatro L'Anna Maria e le altre... 'L Nando 'L Gerolamo, la Maria, Tonia, Rita, Angelo, Evasio L'Arnalda La maestra brutta e il marito strano L'asilo, ovvero la prima guerra d'indipendenza Il maestro Rosinganna "Discoroma" La Menga, la Fica, Cascine Bertana "Andoma a svoidè ij bosion" La corsa dei cavalli "La scorta për 'l bal" "'L trifolao" "'L Tom e la Biki" "Ij Ebreu" "'L Tambass e 'l bocie" "Le Player sisters" "'L cine e 'l teatro" "'L Principe" Un ritorno |
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