Stefania

Il Po, all'altezza del ponte Isabella, appariva alquanto ingrossato: l'acqua torbida e limacciosa, scorrendo veloce, trascinava alberi divelti ne detriti, né il cielo prometteva alcunché di buono. Dopo le intense precipitazioni dei giorni precedenti c'era stata una breve tregua, ma ora iniziava nuovamente a piovigginare.
Mentre sostava sul ponte, in attesa del verde, Alberto portò istintivamente lo sguardo alla sua destra, in direzione delle Molinette. Il vasto complesso ospedaliero sembrava galleggiare nella nebbia fumigante che salivga dal fiiume ed il grtattacielo del CTO era visibile solo in parte: dall'ottavo piano in su il suo profilo grigiastro si confondeva con il cielo rannuvolato e a mala pena se ne intuiva il culmine, ma solo per le luci rosse di segnalazine collocate sul tetto piano.
Quella mattina di metà novembre Alberto non aveva fretta: terminato il turno di guardia, dopi una notterelativamente tranquilla, era rincasato all'alba per restarci un paio d'ore appena. Pio era uscito nuovamente: aveva sfogliato i giornali mentre faceva colazione, ma nemmmeno i titoli dei quotidiani erano riusciti a distoglierlo dal viluppo dei suoi pensieri. Da settimane non riusciva a darsi pace per la morte di Stefania; il rapido progredire della malattia aveva inesorabilmente minato la forte fibra della studentessa.
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