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6 Gianfranco MONACA
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foto Michele D'Ottavio

Gianfranco Monaca

Sono nato ad Asti il 31 luglio del 1934. Ho scoperto molto tardi che non era stata una giornata felice per l'Europa: il cancelliere austriaco Dollfuss fu assassinato quel giorno dai nazisti, allo scopo di prendere il potere in Austria. Penso che questo fatto abbia creato un clima avvelenato di paura e di insicurezza che ha condizionato in un modo o nell'altro la vita della gente in quegli anni. L'anno dopo la guerra in Africa Orientale per la conquista dell'impero, nel '36 la guerra di Spagna, nel '38 le leggi razziali, nel '39 l'invasione della Polonia da parte della Germania nazista, poi della Francia, del Belgio, dell'Olanda…e l'entrata in guerra dell'Italia, per potersi sedere al tavolo della "pace" con qualche centinaio di morti e spartire con la Germania il bottino di guerra.
Avevo cinque anni quando venne ad Asti Mussolini. Ricordo l'aspetto strano della città addobbata con grandi drappi neri e tricolore. Probabilmente in casa non se ne diceva un gran bene, perché ricordo che mi tenevo nascosto al di sotto del davanzale del balcone e avevo paura di guardare, poi vinse la curiosità. Il duce passava in piedi su una macchina scoperta, ma visto dall'alto non era niente di speciale e mi tranquillizzai. Ma furono pochi attimi. Poi vennero i tempi dei bombardamenti, degli sfollati, della resistenza. Mio fratello era partigiano e i miei genitori dovettero darsi alla macchia per non essere presi come ostaggi. Finché non mi resi conto di queste cose non capii perché in casa nostra si rideva così poco. Riempivo lunghe ore di solitudine divorando i libri della "Scala d'oro" della UTET e tentando di disegnare i castelli e i cavalieri di cui pullulavano quelle letture. Mi mandarono a prendere qualche lezione di musica dal maestro Baroncini, ma non se ne fece niente; non era affar mio. Provarono con il professor Rosa e con la pittura e il disegno le cose andarono meglio, ma l'impegno nelle attività delle organizzazioni giovanili era ciò che mi gratificava di più.
Dopo la maturità classica all'Alfieri frequentai per un anno la facoltà di architettura a Torino, ma l'impegno sociale e politico mi attirava con maggiore forza, e più ancora il lavoro di riflessione filosofica e teologica e quello dell'intervento pedagogico. A diciannove anni decisi si intraprendere gli studi teologici, che portai a termine con successo. L'attività di animazione culturale e pastorale mi andava bene, mi pareva fosse esattamente quello che avevo sempre desiderato, purché l'avessi potuta svolgere con creatività e fantasia. Questo mi condusse a inventarmi percorsi nuovi e a vivere esperienze esaltanti: lavorai per cinque anni in Belgio tra gli emigrati nella cintura carbosiderurgica di Liegi e conseguii la laurea in scienze religiose all'università di Lovanio nel pieno del periodo della contestazione, con una tesi di cui fu relatore François Houtart, uno dei più vivaci teologi e sociologi del mondo, ancor oggi punta di diamante del rinnovamento conciliare, irriducibile oppositore del revisionismo e della normalizzazione. Pubblicai più tardi su questa esperienza "Come alberi che camminano" per l'Editrice Esperienze, a cura dell'Istituto per la Storia della resistenza di Asti.
Rientrato in Italia, mentre lavoravo al recupero e inserimento dei giovani handicappati (e ci lavorai fino al '91, dopo che la struttura passò alla gestione comunale)), avendo attivato alcuni corsi di formazione professionale speciale nell'ambito dello I.A.L-CISL. di Asti, preparai gli esami e mi laureai nel 1975 in Sociologia a Torino con una tesi sulle "Centocinquanta ore", istituite per legge nel 1973. Pubblicai "Bestiario intimo" per le Edizioni Omega, collaborai ad alcune collane dei Fratelli Fabbri e della Elledicì, di argomento pedagogico.
Su invito di Francesco Coppo ho fatto alcune mostre personali e ho partecipato a lungo, per le cortesi insistenze dello squisito amico Giovanni Arri jr, alle mostre collettive della Promotrice.
Fu un antico e valente mio insegnante di esegesi biblica, Pietro Daquino, a coinvolgermi in alcune sue ricerche sulla storia locale e nella redazione della rivista "Il Platano". Forse era destino, visto che già nel '61 don Alfredo Bianco mi aveva chiesto una piccola collaborazione per la sua "Asti medioevale". Giovanni Boano, come presidente della Cassa di Risparmio di Asti, mi affidò il compito di "raccontare" il duomo, e ne nacque "Asti:un duomo, una città" nel 1988. Per la Cassa avevo già fatto "La storia di Asti, quasi una controstoria" e "Vittorio Alfieri", combinando insieme il testo e i disegni, ma senza produrre un "fumetto" come si intende di solito questo genere.
Dal 1991 questo diventò il mio mestiere, essendo passato a dirigere il Centro per la documentazione didattica dei Musei Civici. La città mi si veniva presentando come un'immensa enciclopedia di tutti i saperi, e mi entusiasmava - e ancora mi entusiasma - scoprire e far scoprire dagli altri (i concittadini e i giovani innanzi tutto) gli aspetti sorprendenti di ciò che frettolosamente si costeggia ogni giorno senza avvedersene. Che è, tutto sommato, una metafora della vita stessa.
Così ho "raccontato" la chiesa e il quartiere di San Secondo in "Asti: San Secondo dei mercanti". E subito dopo ho fatto con Saviolo "Attenzione immigrati", una serie di epigrammi disegnati di impegno sociale; nello stesso senso va la mia collaborazione con il mensile "Tempi di fraternità", della quale curo particolarmente la pagina dedicata all'"Elogio della Follìa" e che ha pubblicato "Grand Hotel Giubileo", una raccolta di umorismo grafico. Teologia, sociologia, storia, umorismo grafico e vita civile sono modi diversi per "incarnare" (con maggiore o minor successo, ma almeno ci provo) l'eterno nel quotidiano, come agitando senza sosta un barattolo in cui materia e spirito rischiano continuamente di separarsi depositandosi a differenti livelli.


a cura dell'Autore
 


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